La terra dei fuochi liberi, incontrollati e tossici (prima parte)
Quelli che in brutto gergo burocratese vengono definiti “abbruciamenti”, non sono altro che falò accesi da privati (ma a volte dagli stessi enti pubblici) di cui le autorità, troppo spesso, non si interessano per vari motivi: scarsità di risorse per vigilare e procedere ad accertamenti, ignoranza delle norme, ignoranza degli effetti sulla salute umana e non, scarica barile fra autorità, ma anche (in qualche caso, a basso e alto livello) volontà di non procedere per affinità, o meglio, comune interesse (od anche empatia) con colui che brucia. Devo però anche dire che, in queste ultime settimane, ho trovato tra le pubbliche autorità, casi di attenzione al problema, competenza e/o disponibilità, ma risultati, al momento, scarsi. Il che non deve disporre alla resa, anzi. Credo possa essere l’inizio per poter diffondere sensibilità e stimolare l’approfondimento sul tema, dato che qualche importante riscontro, in ogni caso, c’è stato.
Comincerei dal messaggio più importante, perché ciò che nel senso comune delle persone che hanno una conoscenza superficiale e “tradizionale” della tematica è un innocente falò di materiale vegetale (si spera senza altro genere di sostanze), di legna, rami e foglie, in realtà non è per nulla innocente. Benché media, ed alcune delle associazioni “ambientaliste”, ne scrivano o parlino con una certa ritrosia, la ricerca scientifica ha da tempo appurato che la combustione di sole sostanze vegetali (o in maniera più ampia: biomasse) genera un florilegio di sostanze tossiche, tra cui diossine e polveri sottili (il cosiddetto particolato, ad esempio PM10). Avete letto bene, le diossine (e altro) non si generano solamente dalla combustione di sostanze plastiche, ma anche dal semplice fatto di bruciare materiale prettamente vegetale e ciò è strettamente correlato ad una serie di fattori interni ed esterni, tra cui: umidità, temperatura di combustione, temperatura esterna, contatto con altre sostanze (ad esempio: il sale o l’aerosol marino) e via dicendo. Per chi volesse approfondire può farsene un’idea leggendo la tabella 1 (ma anche le altre), tratta dallo studio redatto nel 2010 (poi aggiornato nel 2011) dal prof. S. K. Akagi (Università del Montana, U.S.A.) e altri, denominato: “Emission factors for open and domestic biomass burning for use in atmospheric models“. In questo studio si pongono le basi per lo sviluppo di modelli matematici in ambito chimico-fisico, che possano essere utilizzati per rappresentare ciò che viene sprigionato in atmosfera a seguito della combustione di biomasse. Gli studi sono effettuati su vari tipi di habitat naturali (come la foresta tropicale, o la foresta in aree temperate, ecc…), ma anche sul “crop residue”, ovvero la combustione, o se preferite l’abbruciamento, di sfalci, potature, tagli, residui di origine vegetale (e non solo). Vi risparmio l’approfondimento ulteriore, anche perché io stesso non ne ho i titoli per scriverne, ma da ciò che mi è stato riferito da persone competenti (invito, ad esempio, a seguire il blog del dott. Federico Valerio), le sostanze sprigionate dai tradizionali sfalci agricoli non sono affatto simpatiche, soprattutto in relazione alla nostra salute, dato che diverse di queste non passano, ma rimangono nel nostro organismo vita natural durante e vengono accumulate fino al conteggio finale (che si spera venga fatto il più tardi possibile). Senza contare che tali sostanze assorbite dal terreno, nelle acque o vaganti in atmosfera, entrano nel ciclo alimentare, motivo per il quale se fai danni da una parte le conseguenze possono anche riflettersi da un’altra parte. Queste considerazioni valgono anche per coloro, appassionati di falò, come il nostro assessore regionale Giampedrone (o alcune guardie forestali, o alcuni funzionari regionali, o alcune autorità locali, politici e lobby agricole varie) in quanto bruciare gli sfalci e le potature (o peggio, il materiale vegetale spiaggiato dalle mareggiate) è il metodo più rapido e semplice per nascondere la polvere sotto al tappeto. E non è solo una metafora e, purtroppo, non è nemmeno solo nascondere, perché il prodotto delle combustioni andrà a contaminare il nostro ambiente e noi stessi.
Dopo aver capito i motivi che ci portano a non sottovalutare la questione veniamo a cosa dicono le norme ed a come far applicare, da chi di dovere, quelle che ci sono, scontrandoci, comunque, con diversi muri di gomma (in buona o mala fede) a vario livello e per motivi diversi, ma con alcuni punti di forza e qualche rara competenza in merito fra le pubbliche autorità. Dopo aver ascoltato molti uffici (nazionali, regionali e locali), persone competenti o meno, ma soprattutto chi le norme le applica per competenza specifica (Corpo Forestale dello Stato) sono giunto ad alcune conclusioni non secondarie, che cercherò di sintetizzare di seguito per punti per essere più chiaro.
Allo stato attuale, gli abbruciamenti sono consentiti esclusivamente in base ai seguenti criteri di legge (conversione in legge del decreto n. 91/2014 , con legge 11 agosto 2014 n. 116):
- il materiale deve essere esclusivamente di origine vegetale e derivare da sfalci o potature di attività agricole o forestali, ovvero prodotto da aziende agricole, o da autorizzate lavorazioni forestali, o da privati che gestiscono colture agricole in zona agricola;
- il materiale combusto in piccoli cumuli, non deve superare la quantità giornaliera di tre metri steri (stero: metro cubo di legname in catasta) per ettaro, effettuato nel luogo di produzione;
- nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata;
- i Comuni e le altre amministrazioni competenti in materia ambientale hanno facoltà di sospendere, differire o vietare la combustione del materiale all’aperto in tutti i casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attività’ possano derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute umana, con particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili (PM10).
Da ciò ne deriva che non sono consentite le combustioni di materiale vegetale (o peggio ancora di altri materiali o misti) effettuate da privati, ad esempio per pulire il proprio giardino o il terreno limitrofo all’abitazione, o proveniente da aree urbane (anche pubbliche), se non derivato da coltura agricola in area agricola. All’uopo può essere utile leggere quanto recepito a livello locale, in Toscana, e ben esposto dal Comune di San Casciano in Val di Pesa, grazie ad una direttiva regionale, che però in Liguria tarda ad arrivare e che (conoscendo i miei polli) non arriverà mai, e se arriverà sarà peggio di prima. Sono pronto a scommetterci. La legge, poi, lascia il dettaglio della regolamentazione locale ai Comuni, con un proprio regolamento di polizia urbana, che deve, ovviamente, rimanere nell’alveo della normativa nazionale. In mancanza o in presenza di tale regolamentazione agisce, comunque, anche la legge dello Stato (vedi sopra). Ed è proprio sulla base della stessa normativa in vigore che si possono dare ulteriori dettagli, spesso sconosciuti (davvero o per finta) o comunque inapplicati dalle stesse autorità locali, in quanto tutto ciò che viene prodotto al di fuori di attività agricole o forestali, rientra nella categoria di “rifiuto” e come tale normato, con previste sanzioni amministrative od anche penali. Allo scopo è utile andare direttamente a leggere il T.U. ambientale (D.Lgs. n.152 del 3 aprile 2006 con successive modifiche ed integrazioni):
- abbandonare sfalci e potature provenienti da verde privato o urbano (ovvero rifiuti) è punito con sanzione amministrativa pecuniaria da 300 a 3.000 euro (se i rifiuti sono pericolosi la sanzione è aumentata sino al doppio) [art. 255];
- chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati (ad esempio: sfalci e potature come sopra) ovvero depositati in maniera incontrollata è punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni [art.256-bis].
Quanto sopra è come la legge deve essere applicata e ciò è confermato dagli uffici che trattano la materia nello specifico, ad esempio il Comando Provinciale della Spezia del Corpo Forestale dello Stato (Ufficio Contenzioso). Se però chiamate altri uffici, anche dello stesso C.F.S. è facile che sentiate darvi altre risposte, in buona parte superficiali. Come ho potuto valutare direttamente, gli operatori al 1515 o guardie forestali in diversi uffici, per non dire altre autorità locali e regionali, potrebbero rispondervi in questi modi:
- non c’è un’ordinanza di massimo rischio incendi in vigore, quindi si può;
- poveretto dovrà ripulirsi un campo, anche io lo devo fare;
- se non si brucia il materiale aumenta il rischio di incendi;
- sennò come fa a smaltire il materiale;
- e via dicendo.
Non datevi per vinti, e soprattutto sappiate che la materia che stiamo trattando è più complessa, non state al gioco di chi ne sa di meno o fa finta di saperne di meno. Ebbene, gli aspetti importanti non terminano qui, sia per quanto riguarda l’intervento del C.F.S., che della Polizia Municipale, o dei Carabinieri, soprattutto nel caso vi fossero risvolti di natura penale. Le altre variabili in gioco sono anche (non sono esaustivo): se il fuoco è nelle vicinanze (o peggio all’interno) di un’area boschiva, se l’area è all’interno di un parco (con eventuali regolamenti specifici), se vi sono condizioni di vento, se le fiamme sono elevate, se il fuoco non è sorvegliato, se il fumo (o comunque le emissioni in aria) lambiscono zone abitate.
Soprattutto nel caso in cui dobbiate subire il fumo o l’odore delle combustioni, sappiate che il codice penale prevede l’equivalente reato di getto pericoloso di cose (art. 674 c.p.), e la giurisprudenza si è arricchita nel tempo di numerosi casi in merito. In questa tipologia di eventi è importante avere testimoni o far effettuare un accertamento da un pubblico ufficiale (non è necessario fare una misurazione tecnica), se poi avete la fortuna di far intervenire in tempo l’ASL (Struttura Complessa Igiene e sanità pubblica) tutto di guadagnato. Una volta effettuati gli accertamenti ufficiali, e soprattutto se avete idea che tutto si possa fermare lì lasciando impunito il reato, potrete valutare se presentare un esposto, o una denuncia, infatti il reato all’art. 674 c.p. è un reato di pericolo e quindi procedibile d’ufficio (non è quindi necessaria una querela). Anche per questo tipo di reato, spesso, ci sentiamo rispondere in maniera inappropriata e con sottovalutazione da diverse autorità, ma non perdiamoci d’animo perché è un nostro diritto non dover subire il fumo, l’odore, la puzza, ma soprattutto le sostanze nocive che andranno inevitabilmente nei nostri polmoni. Le leggi ci sono e vanno solo conosciute bene per poter richiedere la loro applicazione.
In ultimo, ma non secondario, è da tenere in conto che la legislazione europea ha previsto l’istituzione del “principio di precauzione“, e come tale è stato recepito nel diritto ambientale italiano e nella propria giurisprudenza. Entro determinati criteri e ambiti, nel caso in cui i dati scientifici non consentano una valutazione completa del rischio, il ricorso a questo principio consente di intervenire preventivamente in maniera da cautelarsi da eventuali ed effettivi danni alla salute o all’ambiente.
Il discorso ovviamente non si ferma qui, vi sono casi importanti di cui scriverò prossimamente che interessano la nostra regione (Liguria) e nello specifico il Comune di Portovenere, dove da settembre c’è una recrudescenza del fenomeno che pare incontrollato, ma che speriamo possa essere arginato quanto prima. A tutto ciò si aggiunge l’uscita a gamba tesa del “focoso” assessore regionale Giampedrone, con la sua piuttosto dubbia (giuridicamente) delibera che vorrebbe permettere, in maniera quasi automatica, ai sindaci di predisporre ordinanze di abbruciamento in situ, del materiale ligneo spiaggiato a seguito di eventi meteo-marini, alla nostra salute ed anche a quella dei nostri assessori regionali (non me ne vogliano). Infine, non mi fermerò, però, solo alla critica e sentirò quali proposte concrete, alternative e sostenibili si possono prevedere di mettere in campo, se non già praticate.