Isola Palmaria (SP): un patrimonio mondiale da tutelare. E’ un nostro dovere
Prendo spunto da alcuni articoli comparsi sui giornali negli ultimi giorni, del resto non nuovi al dibattito inerente il futuro dell’isola Palmaria.
Il tutto parte da ipotizzate “interferenze” in merito alla “sovranità” territoriale sull’isola, scaturite dalla mozione presentata dall’avv. Enrico Conti (PD) presso il Consiglio Comunale della Spezia, territorialmente non competente, con cui si chiede che il Comune spezzino si faccia promotore di un’iniziativa a tutela della Palmaria, dichiarandola riserva naturale integrale ai fini di preservarla da possibili speculazioni edilizie. Tutto ciò per evidente riflesso ai recenti accordi tra Marina Militare e Comune di Portovenere, orientati alla dismissione di una nutrita serie di beni immobili demaniali, che passerebbero dalla mano statale a quella comunale.
Da tutto ciò reazioni di sindaco, i pochi abitanti dell’isola e ulteriori voci locali, che in linea di principio rivendicano l’esclusivo diritto a decidere delle sorti della Palmaria. In parole povere: l’isola è nostra e gli amministratori di Spezia se ne stiano alla larga, amministrativamente e metaforicamente parlando o scrivendo.
Ma l’isola di chi è? Del Comune che l’amministra e dei suoi abitanti? Qui si potrebbero percorrere due strade, l’una prettamente giuridica ed un’altra di principio che poi, a mio parere, porterebbero entrambe ad un’unica ed identica soluzione: l’isola, nel suo complesso, è patrimonio degli italiani, come del resto la natura delle coste, dei mari che bagnano la penisola, le sue isole e le risorse minerali, vegetali e faunistiche. Un bene unico, naturale ed inalienabile, come un’isola quasi totalmente disabitata, con poche attività commerciali, praticamente inesistenti al di fuori del periodo estivo.
In linea di principio, quindi, mi trovo in accordo con il consigliere comunale spezzino Enrico Conti, quasi sempre distante dalle mie posizioni, ma che in questo caso ha voluto ribadire un principio base: l’isola è un bene naturale e come tale va tutelato perché patrimonio di tutti, tra l’altro in area UNESCO, perciò patrimonio mondiale dell’umanità. Non certo un dettaglio.
Posso capire le rivalità politiche di parte che sono anche alla base di tale discussione, ma qui non si tratta di far valere il potere sul bene o l’autorità esclusiva, si tratta di stabilire il futuro di un pezzo d’Italia che è per sua natura destinato a rimanere presidio ambientale tutelato, e perché no, tutelato integralmente, come avviene in altre parti d’Italia, nonostante al proprio interno coesistano attività umane gestite nel rispetto dell’ambiente in cui operano. Ed è proprio questo il momento giusto per mettere dei paletti chiari su cosa si potrà e non si potrà fare nell’isola e dell’isola. E’ quanto mai necessario, ora, stabilire chiaramente e definitivamente, che l’isola Palmaria assieme alle sue sorelle, Tino e Tinetto, debbano far parte, integralmente, di un parco naturale di valenza nazionale, magari assieme a quello delle Cinque Terre, come già pare si stia (forse) lentamente operando. All’interno di tale parco nazionale, le isole del Comune di Portovenere dovrebbero rientrare a pieno titolo come aree a riserva naturale integrale. Solo in questo modo possiamo far sì che la tutela sia concreta, che i progetti per l’isola non possano andare oltre quei limiti che vedrebbero irrimediabilmente persi beni che appartengono a tutti noi, che fanno dei nostri luoghi terra di richiamo per turisti. Turisti che ne possano recepire e rispettare le proprie peculiarità. Come ho scritto in altre occasioni, il tipo di turismo per i luoghi in cui viviamo dobbiamo scegliercelo noi, questo si, abitanti ed amministratori del luogo, se abbiamo lungimiranza e non solo una vista corta sul breve e medio termine. Il portafoglio non deve essere l’unica bussola per stabilire il futuro dei nostri luoghi, altrimenti il nostro destino sarà segnato da una inevitabile e triste decadenza. In tal caso, i luoghi che apprezziamo per le proprie particolarità diventeranno uguali ad altrettante Disneyland, perciò perderanno, di fatto, il motivo principale per cui oggi sono attrattive ed attraenti.
Insomma, la “Capri ligure” vista da un Toti e le caprette da estirpare (per non scrivere eradicare) sono facce della stessa medaglia?
Lo sapremo solo vivendo e rivendicando il diritto alla tutela della natura dei nostri luoghi, motivo essenziale e unico, che una volta perso farebbe disperdere il vero valore incalcolabile e non venale alla base del nostro futuro e delle attività locali, turistiche e non.