Isola Palmaria, Portovenere (SP): le profonde incompatibilità del piano Toti col sito UNESCO
Vorrei cercare di focalizzare la questione Palmaria, ovvero del grande progetto di sfruttamento della splendida isola, finora parzialmente preservata dalla speculazione edilizia (e pseudo-agricola), non tanto sul masterplan dell’architetto Kipar e dei suoi committenti (Regione e Comune di Portovenere), ma sul protocollo d’intesa con la Marina Militare e le contraddizioni/incompatibilità con i vari piani di tutela, regolazione e pianificazione, a tutti i livelli. In questo articolo, per ora, sul piano del sito UNESCO “Portovenere, Cinque Terre e isole (Palmaria, Tino e Tinetto)”.
Perché scrivo parzialmente preservata dalla speculazione edilizia, perché basta guardare le fotografie degli anni ’50 e successive, per vedere e capire che diversi sono gli immobili edificati (case, talune abitate o utilizzate), anche dove prima non c’erano. Dove, insomma, non c’era nemmeno una seppur minima giustificazione di natura storica. La Palmaria, come il resto del Comune di Portovenere, non è stata certo immune dalla mano edificatoria dell’uomo degli ultimi sessanta-settant’anni. Diversi immobili sono stati abbandonati a loro stessi, ed oggi, in buona parte, sono in condizioni pietose, se non totalmente diruti o spariti, sotto la coltre vegetale o boschiva. Tranne poche eccezioni, di queste, ben meno sono di interesse storico. Trovare volumetrie da ristrutturare, in realtà da riedificare ex-novo, è esercizio principale di questo piano regionale-comunale, sostenuto dalla “fortunosa” giustificazione di dover rendere conto dei costi, piuttosto onerosi, derivanti da un protocollo d’intesa sostanzialmente incostituzionale. Che la Marina Militare possa vantare benefici economico-finanziari sulla cessione di beni che non sono suoi, ma del demanio pubblico, è cosa assai strana ed è stata ultimamente rilevata più volte. Giustamente. Questo è il punto di partenza. Non il masterplan, sostanzialmente un piano di massima, di buone intenzioni, pardon, pessime intenzioni, il quale verrà sicuramente cambiato mille volte, anche dopo una eventuale formulazione definitiva ed operativa, che mi auguro mai possa avvenire. Disperdere la discussione, o l’operatività per contrastare il masterplan è solo un mero esercizio accademico ed inutile, perché ciò che “obbliga” (piacevolmente per alcuni) a dover speculare finanziariamente ed economicamente sul bene comune isola Palmaria, è esclusivamente il protocollo di intesa con la Marina Militare. Lo scenario 1, ad esempio, era solo uno specchietto per le allodole, insostenibile economicamente, ma utile nelle fasi iniziali di propaganda di uno pseudo percorso partecipato, che al massimo è stato solo di ascolto. In realtà nemmeno quello, ma ha comunque contribuito a fare girare l’economia della giostra “masterplan” e ad intessere una possibile relazione con ambienti potenzialmente interessati ad una fetta della torta, anche se in formale opposizione politica.
La parola magica è “valorizzare”, ma nell’accezione piuttosto abusata di questi tempi di “capitalizzare”. E’ questo il senso vero del piano di “capitalizzazione” dell’isola Palmaria. Ma troveremo altre parole magiche nelle varie pieghe dei provvedimenti amministrativi che si curano di portare a termine questo progetto. Ad esempio “armonizzazione“, nel senso di “sottomissione”, ovvero sottomettere i piani di tutela, pianificazione, regionali, comunali e parco al masterplan (al protocollo d’intesa, in realtà) e non il contrario, come ragionevolmente dovrebbe essere. La parola chiave “armonia” torna, però, anche in altri passaggi, ad esempio nell’ambito uomo-natura, come vediamo subito di seguito.
Mi vorrei soffermare sul piano di gestione UNESCO, per il quale la Palmaria ha un ben definito e distinto ambito territoriale, il n. 94, assieme a Portovenere. Soprattutto, la Palmaria nel piano UNESCO, è bene saperlo, non è parte del calderone “Cinque Terre”, ovvero di ciò che viene scritto più volte anche negli atti ufficiali di Regione e Comune, prendendo a prestito la sintesi estrema della definizione del sito n.826. Questa è solo la definizione più generale, alla base della nomina del sito UNESCO nel 1997, come tradotta in italiano (forse non troppo fedelmente all’idea in lingua inglese): “(…) la Riviera Ligure di Levante tra le Cinque Terre e Portovenere è un’area culturale di eccezionale valore, che mostra l’armonioso rapporto tra uomo e natura cui si deve un paesaggio di straordinaria bellezza scenica dimostrazione di un tradizionale modo di vivere che si è conservato per mille anni e che continua a svolgere un’importante funzione socio economica nella vita della comunità (…)“.
L’ “armonioso rapporto tra uomo e natura“, infatti, diventa l’arco di volta su cui si appoggia la giustificazione a radere al suolo i boschi della Palmaria. A dire che la Palmaria è sporca, vada ripulita dai rovi. Per Toti & friends la Palmaria diventa un’isola da erbicidi. In realtà da motoseghe. Per i suoi luogotenenti, un’isola di splendidi terrazzamenti agricoli che aspettano solo di rivedere la luce tirando via solo erbacce infestanti e rovi. In realtà e non lo dico solo io, ma pure lo stesso Kipar a pag. 24 della relazione tecnica al masterplan: l’isola Palmaria è (sorpresa) coperta, per una buona parte, da boschi maturi di pino marittimo, di leccio, di pino d’aleppo e leccio ed anche di latifoglie termofile. Chi l’avrebbe mai detto?
Detto questo, sempre lo stesso Kipar, nel suo masterplan (allegato tavola 3), ci fa sapere che ne vuole fare dell’isola, per ora.
Ebbene, l’agricoltura (altra parola magica) servirà a radere al suolo boschi (è chiaro), non a “pulire” dai rovi. Grosso modo, almeno 2/3 degli attuali boschi spariranno per i terrazzamenti agricoli. E voi siete sicuri che rimarranno, poi, terrazzamenti? Io, no. Ma io sono prevenuto, dato che di abusi in questa area UNESCO ne ho visti da tempo (non di poco conto) e nessuna delle autorità competenti ne vuole la “messa in pristino”, non discrezionale di legge. La mia fantasia, quindi, galoppa. Mi aspetto, perciò, un buon vino dalla Palmaria, magari di nome “Strinea” (per gli spezzini doc).
Altra sorpresa, a confrontare le due mappe sopra, sarà il trasferimento di parte dei boschi (!!!), dalla parte nord, alla parte sud e sud-est dell’isola, dove ora ci sarebbe la “pseudo-steppa”. Mi chiedo come avverrà, perché non ho ancora visto nulla sul “trasloco” boschi nel masterplan e nei documenti ufficiali dei nostri lungimiranti amministratori pubblici.
Ma ecco che diventa importante leggere il Piano di Gestione per il sito UNESCO. Per la precisione la scheda dell’ambito territoriale n.94, Portovenere, all’interno del “Quaderno 2 – Quadro pianificatorio” a cura dell’architetto Elisa Zanetta. La scheda, non per nulla, è riportata pure dallo stesso Kipar nel documento di “Fase 1 – Approfondimento conoscitivo” a pag.60, ma vedrete che se la sono dimenticata un po’ tutti. Tanto era solo la fase 1, da mettere in cantina.
La descrizione è ammirevolmente precisa, puntuale. Soprattutto pone una netta distinzione fra il paesaggio umano delle Cinque Terre e il paesaggio, chiaramente selvaggio, o rinselvatichito se preferite, ma attuale e sostanziale da molti decenni, più di mezzo secolo, della Palmaria.
Il promontorio di Portovenere e isole “Pur essendo la prosecuzione del versante delle Cinque Terre a sud e del golfo di La Spezia a nord, presenta alcune caratteristiche proprie di tipo geomorfologico e insediativo“. Molti si perderanno sul secondario, ne sono sicuro il “di La Spezia” al posto del “della Spezia”, che odio con tutte le mie forze. A scuola mi hanno insegnato che “La” è parte del nome e giustamente non si declina. Casomai si elimini l’articolo tout court e si scriva “di Spezia”, lo apprezzerei di più e semplificherebbe la vita a tutti. Ma torniamo a noi.
Prosegue: “Di notevole valore paesistico è l’isola Palmaria, caratterizzata da un versante roccioso, con grotte, a picco sul mare e da quello opposto che scende gradatamente all’arenile, con approdi e lembi di spiaggia, coronata da vegetazione mediterranea“. Coronata da vegetazione mediterranea, mi vengono i brividi per la contentezza. Esattamente!
E qui arriva una delle parti più belle. Ricordiamoci che questa è la descrizione ufficiale del quadro pianificatorio UNESCO di Portovenere e Palmaria nello specifico, non sono quattro chiacchiere come il masterplan. Questo documento non è “armonizzabile” da Marco Scajola per conto Toti: “Sull’isola Palmaria si trova una ricca vegetazione spontanea ben conservata, con pinete a pino marittimo, macchia mediterranea e latifoglie termofile (leccio e roverella).“. Mi chiedo, su che base il Segretariato Regionale per la Liguria alla “cabina di regia” abbia approvato questo masterplan, ma soprattutto abbia permesso l’inizio dei giochi con questo protocollo d’intesa. Il rappresentante italiano dell’UNESCO dovrebbe farsi venire i capelli dritti, si sta facendo strame (queste si) del piano UNESCO per Portovenere ambito 94.
E poi, per fare strame noi dell'”armonioso rapporto tra uomo e natura“, si afferma: “Le isole, viceversa, a parte alcune emergenze monumentali sono prive di insediamenti.“. Alcune case abitate e altre disabitate, non fanno certo un insediamento stabile. Un vero centro urbano, non c’è. Per carità non parliamo di Terrizzo. Pure lì non c’è un centro urbano. Ergo, per l’UNESCO l’isola è da tutelare in quanto ambiente naturale, nulla di più. Non ci piove.
Ed ancora: “La configurazione paesistica dell’ambito, pur con aspetti simili alle aree confinanti, si struttura in un’unità di promontorio a sé stante con valori paesistici autonomi ed esclusivi. Il versante che è geograficamente la prosecuzione delle Cinque Terre si differenzia da queste per la scarsità di insediamenti, l’inaccessibilità e la bellezza della costa.“. Ma si, è straordinariamente vero: la Palmaria (e con essa Portovenere) è ben diversa dalle Cinque Terre. Non si può parlare di vigne, di terrazzamenti. La Palmaria potrebbe benissimo, e sarebbe meglio, far parte di un parco nazionale assieme alle Cinque Terre, ma va trattata per come è ora, realmente, non per come la vorrebbero gli speculatori del mattone o della vigna (ergo sempre del mattone), per poi farne un albergo (o casa), passando attraverso fondi comunitari agricoli e agrituristici.
Quindi si scrive: “… l’appropriazione da parte della Marina Militare di insenature e di tratti costieri, anche se inibisce la godibilità del territorio, ne ha forse impedito lo sfruttamento intensivo.“. Toglierei il forse, sicuramente ne ha impedito lo sfruttamento intensivo, anche se la M.M. danni ne ha fatti e ne sta facendo. Sempre meno, però, del costruttore dalla moneta cash. Questa tutela che ci lascia la M.M. delle isole è, comunque, una grande fortuna. Facciamo in modo di non mandare tutto alle ortiche, o meglio, ai mattoni.
Si prosegue con la parte B della scheda ambito 94 UNESCO, B1 assetto insediativo: “MANTENIMENTO – L’indirizzo normativo è volto a tutelare gli attuali rapporti di equilibrio esistenti tra aree insediate e aree non insediate.“. Mantenimento, quindi, non sviluppo, non valorizzazione nell’accezione di capitalizzazione, ma di valorizzazione del bene per come è, e deve rimanere, con ben pochi, minimali interventi.
E ancora più chiaramente: “Sulle restanti parti dell’ambito, isole comprese, le potenzialità insediative sono da ritenersi esaurite.“. ESAURITE. STOP. Nessun recupero di fabbricati senza valenza storica e a fini di vendita o concessione. Nessuna volumetria da recuperare a fini economici.
Per l’assetto vegetazionale poi si prevede: “CONSOLIDAMENTO-MODIFICABILITA’ – Boschi nel complesso poco estesi, la cui superficie può essere incrementata rispettando le tendenze evolutive in atto su aree prative e arbustate.“. Nessun abbattimento di boschi. Rispetto totale, se non incremento delle aree boschive. Altro che ampliamento delle aree agricole, quasi inesistenti, in Palmaria.
Interessanti, infine, al punto C, le azioni proposte, che in parte paiono ancora lontane dall’esaudirsi, come l’eliminazione della servitù militare tra il Varignano e Punta Castagna, per la parte continentale. Ma in concreto si chiede: “(la) formazione di un parco organizzato per la fruizione in accordo con le disposizioni della legge regionale istitutiva approvata nel dicembre 1985 comprendente il promontorio di Portovenere e le isole Palmaria, Tino e Tinetto rese accessibili per riduzione delle servitù militari, sia con un adeguato servizio marittimo che con una migliore infrastrutturazione delle percorrenze pedonali e dei servizi presenti o da istituire al loro interno. (…)”. Si qualche servizio, qualche struttura d’appoggio, ma al parco in sostanza. Certamente, aggiungo io, quello che serve ai residenti veri, ma nulla di più, nulla. Altrimenti perderemo il senso, l’anima di questa magnifica isola, un unicum per la nostra regione e per l’UNESCO. Il più potrà solo fare danni e contribuire a ridurre le risorse naturali-turistiche del nostro fragile territorio.
A questo punto mi chiedo, i titolari dell’azione UNESCO nel nostro ambito territoriale stanno facendo il proprio dovere? Com’è stato possibile far approvare il masterplan, senza che si siano rilevate tutte queste contraddizioni, non conformità col piano UNESCO, ambito 94, per Portovenere e isole? Le cose non tornano.
Sappiamo comunque che la c.d. “armonizzazione” di Toti-Scajola sarà, molto probabilmente, amministrativamente impugnabile, magari inglobando l’incostituzionalità, o almeno l’illegittimità, del protocollo d’intesa con la M.M., oltre ad altri aspetti tecnico-giuridici e strategici da giocare a tempo debito. Senza parlare dei vincoli che si cercano di saltare. Insomma, di strada da fare ce n’è ancora molta, il tempo passa e pure le amministrazioni. Nulla è perduto. NO masterplan, ma soprattutto NO protocollo d’intesa capestro e SI Palmaria selvaggia.